Incubi d’oro

Perennemente impegnati a controllare le nostre emozioni, ossessionati dal bisogno di crearci una forza interiore e bisognosi di  crederci più forti delle nostre paure, dimentichiamo troppo spesso che esiste un arco di tempo nel quale non siamo padroni di noi stessi.
Non conta quanto ci impegniamo, quanto ci crediamo e quanto ci diamo da fare durante il giorno per costringere la nostra mente ad andare nella direzione che scegliamo noi.
Non conta.
Tanto la notte arriva sempre.
Arriva sempre il momento in cui ci lasciamo andare e, poggiando la testa tra due guanciali, crediamo di andare incontro al nostro meritato riposo.
Ma quello, se vuole, può anche non arrivare mai… lasciandoci soli in balia delle nostre angosce e vittime dei soprusi della nostra mente che si ribella e ci fa del male, per sfogare la repressione che le infliggiamo quando siamo coscienti.
Ci addormentiamo e come bambini, indifesi, diventiamo protagonisti di storie in bianco e nero in cui le battute che diciamo non le possiamo scrivere noi, in cui tutto quello che possiamo fare è subire, assistere ad una scena dilatata nel tempo, eterea ed eterna, della quale non conosciamo i contorni.
E angosciati da quel senso di realtà assoluta che fa parte del sonno, ci troviamo intrappolati in un universo parallelo dal quale non possiamo uscire, rimbalzando violentemente contro delle pareti bianche riflettenti se solo proviamo a scappare.
E siamo piccolissimi, infinitesimali, senza corpo e senza voce, senza coscienza, senza potere. Nullità assolute.
I sogni, come gli incubi, fanno paura.
Anzi.
I sogni fanno più paura degli incubi, perché svegliarsi sul più bello, è fastidioso. Ma capita sovente, visto che la vita si diverte a farci i dispetti.
Gli incubi invece, riflettendoci, possono esserci di grande aiuto.
Perché nella loro spietatezza e nella cattiveria, nel male che ci fanno, ci danno la possibilità di avere un’altra occasione.
Proviamo con un esempio.
Se sogniamo di riavere qualcosa che non abbiamo più, di avere accanto qualcuno che vorremmo e non abbiamo, stiamo bene per quel minuto indefinibile in cui sogniamo, ma appena svegli piombiamo nel silenzio più assoluto di una stanza in cui ci siamo soltanto noi e ci sentiamo degli imbecilli perchè la nostra illusione adesso ci lascia lì delusi e amareggiati dall’essere stati presi irrispettosamente in giro.
Se invece nell’incubo perdiamo una persona cara, stiamo male e ci disperiamo, piangiamo talmente forte, che ci svegliamo di soprassalto, perché la nostra viltà nel non saper sopportare il dolore è addirittura più forte del nostro stato di incoscienza. E dopo un primo minuto in cui restiamo fermi, seduti in mezzo al letto, a respirare affannosamente, ci accorgiamo che non era vero niente. E  ci tranquillizziamo, sorridiamo, ridiamo, perché sappiamo che quella persona ce l’abbiamo ancora e possiamo vivercela ancora.
Più e meglio di prima.
Quello che conta però è che svegliarsi dal nostro inconscio non è facile, nè mai del tutto possibile.
Meglio il male del bene, allora.
Perché al bene ci si abitua troppo in fretta.
Dal male invece, si trova sempre un modo e un motivo per scappare.