Ancora (su Scampia)

Il mio con “La Squadra” e tutti i suoi derivati (“La Nuova Squadra”, il luogo in cui si girava, il quartiere che la ospitava,  le persone che ci lavoravano, le persone che la guardavano in tv, gli attori, gli odori) non era un rapporto di lavoro: era, ed è ancora, una storia d’amore.

Uno di quegli amori da colpo di fulmine, appassionati, folli, contro tutto e tutti. Uno di quelli da cui non guarisci mai e che anche a distanza di anni dall’ultimo incontro ti fanno sentire che nulla è cambiato.

Suona molto strano tutto questo per chi quell’universo lo conosce. Per chi sa che tutto era meno che un idillio, la vita a “La Squadra”: un edificio fatiscente, computer antidiluviani, orari di lavoro massacranti, pochissimi rinoscimenti, nessuna certezza mai nemmeno su chi eri o su dove finivano le tue mansioni ed iniziavano quelle degli altri, una burocrazia talvolta ottusa e del tutto fuori luogo in un posto così fuori dagli schemi, la puzza di chiuso e il casino perenne dalla strada ogni volta che il regista gridava “Azione!”.

Eppure, quanto era bello. Come l’amavo, come lo amo.

Sì, lo amavo. Ne ero orgogliosa. Perché quello che riuscivamo a fare tutti insieme magari non era visto da più dell’8% ma era un fiore nato nel deserto. Cresciuto solo con la forza della voglia che ci mettevamo.

Sì, lo amo. Lo amo ogni volta che passo davanti al set con la macchina e faccio un colpo di tosse per sbloccare la gola chiusa. Lo amo e per questo non mi arrendo. Così, dopo lo sfogo dell’altro giorno, ho raccolto la richiesta dei colleghi e ho scritto a “Il Mattino” una lettera un po’ meno incazzata ma con gli stessi concetti. L’hanno pubblicata e lo so che non servirà a nulla e che nessuno risponderà, ma io non potevo non farlo.

Voi, riuscireste a non corteggiare più la ragazza di cui siete innamorati e che un tempo è stata vostra?

"Il Mattino", 15/01/2013