Cara mamma RAI, ti conviene “tagliare” anche la mia lingua

Mancano 12 giorni esatti all’inizio del Festival e così, per puro caso, scopro che la Rai ha deciso di tagliare le trasferte sanremesi perché non ci stanno soldi. Non hanno tagliato solo quello, in realtà, ma anche le trasferte dei giornalisti in zone di guerra e chissà che altro, che scopriremo via via che ci servirà e non ce l’avremo a disposizione. E’ una notizia vecchia, pare, ma a me è arrivata solo ora. (L’avevo già detto che mi devo vergognare, ma ormai l’uso della tv mi è sfuggito di mano).

Ora voi direte che una giusta informazione da zone devastate da bombe e morti è molto più importante di Mara Venier e Marco Liorni che si spostano con tutto il cucuzzaro de “La vita in diretta” al teatro del Casinò per commentare il Festival con gli ospiti che arrivano direttamente dall’Ariston.

Potrei addirittura essere d’accordo ma non in questo momento: io aspetto la settimana sanremese con ansia e qui mi stanno togliendo tutto il divertimento. Sono delusa, come un bambino che la mattina del 25 Dicembre non riceve quello che ha chiesto a Babbo Natale nella letterina spedita quasi un anno prima.

Ma non è questo il punto: il punto è che io la RAI non la capisco e non la capirò mai. Quest’azienda che ogni anno intasca 115 euro a famiglia (o giù di lì) per il canone, per un totale complessivo abnorme, incalcolabile di soldi nostri, paradossalmente non ha mai soldi per fare niente. (Non aveva neanche i soldi per continuare a produrre la fiction per la quale lavoravo e questa me la sono legata al dito, penso che possiate capire perché)

Che ne fanno, di questi milioni di euro? Forse ci pagano ingaggi allucinanti per i conduttori? Producono fiction sensazionali? Lanciano nuovi show che richiedono un grosso investimento?

Macché.

I conduttori sono sempre gli stessi quattro o cinque. Gli ospiti nei salotti sono gli stessi in tutte le trasmissioni della mattina, del pomeriggio, della domenica, di sempre. Le nuove fiction che si sono inventati non le guardo neanche io, e ho detto tutto. I nuovi show sono condotti dai soliti noti e si svolgono al chiuso di uno studio usando come concorrenti vecchi ricicli televisivi sul cui compenso proibitivo dubito fortemente.

E  se pure fosse che tutta questa roba costi un occhio della testa, mi pare che esistano a sostenerla gli spot a profusione (che ci tartassano i maroni ogni momento).

Allora ditemelo, per carità, per piacere, perché io esco pazza: perché tagliate?

Forse perché siete in crisi? Eppure avete le stesse entrate di sempre (anzi, come sempre il canone è aumentato).

Forse perché siete in deficit? Lo credo, visto che siete costretti a pagare stipendi su stipendi a dipendenti che hanno vinto una causa contro di voi (che non siete stati bravi neanche a tutelarvi con i contratti per decenni) e che ora scaldano a malincuore le sedie senza avere niente da fare.

Una soluzione potrebbe esserci, un’idea sconvolgente e a tratti allucinante che stranamente i quattro geni che ingaggiate per decidere le strategie di sviluppo aziendale non hanno avuto: perché non avviate nuovi produzioni, così questi professionisti in esubero farebbero il lavoro che sanno fare e arriverebbero nuovi sponsor che metterebbero in circolo altro denaro col quale far partire altre produzioni e dare così lavoro a chi non ce l’ha più o non ce l’ha mai avuto? Siete un’azienda di Stato, ci dovreste proprio pensare a come rendervi utili a qualcosa.

(Cara mamma RAI, che da bambina eri il mio sogno ad occhi aperti, spiegami com’è possibile che io sia disoccupata da tre anni e nonostante ciò sto ringraziando il Signore di non avere nulla a che fare con te)

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“Scampia non è solo Gomorra”: dove l’ho già sentita?

Sono nata e vissuta per i primi ventinove anni della mia vita a Napoli. Poi mi sono spostata a venti km di distanza ma la mia vita è ancora lì: ci torno sempre.

Di quei ventinove anni, quindici li ho passati a mezzo metro da Scampia, a due minuti dalle vele.

Ho lavorato lì a Scampia per cinque anni, ovvero per tutto il tempo della mia vita in cui ho lavorato (eccezion fatta per qualche mese a Roma). E il mio lavoro consisteva nel coordinare, poi editare, poi scrivere una fiction che si girava a Scampia spesso con la gente di Scampia e che per tanti anni ha parlato proprio di Scampia. Poi, nella storia, si è trasferita al centro storico ma noi
siamo rimasti a Scampia.

Abbiamo lavorato bene, a Scampia. Senza mai nessun problema, senza minacce, senza camorra, senza niente di quello che la tv raccontava sottolineando tra quelle strade il male che c’era, certo che c’era, ma non veniva sempre fuori così prepotente come dicevano.

Noi lì abbiamo lavorato sodo, tanto e in silenzio. Non “silenzio” nel senso di omertà, ma nel senso letterale del termine: non abbiamo mai fatto scalpore, mai fatto rumore e nessuno si è mai preoccupato di noi o interessato a noi. Tanto che, dopo averlo minacciato per dieci anni, alla fine ce l’hanno fatta a farci chiudere, a toglierci il lavoro, a togliere a Napoli uno dei posti in cui si faceva una forma di cultura e di spettacolo pulito, a togliere a Scampia un indotto che faceva guadagnare il quartiere, fosse solo perché era lì che mangiava un’intera troupe ogni giorno. Ma, ovviamente, mica era solo quello.

Oggi che Scampia, la municipalità, il sindaco, la città insorgono contro Roberto Saviano e contro la fiction “Gomorra 2” che doveva essere girata a breve proprio accanto a quelle vele, io non riesco a non domandarmelo, a domandarglielo e a domandarlo a voi: invece di riempirsi oggi la bocca col nome di questo quartiere, perché non si è messo ieri un decimo di questa energia per aiutare noi ad andare avanti?

Perché ci si offende tanto a sentire la verità brutta quando noi svelavamo quella bella e non fregava niente a nessuno?

Perché dà tanto fastidio che si racconti il male di questo quartiere quando nemmeno ci si accorgeva di noi che ne raccontavamo (anche) il bene?

Perché ci si oppone ad una fiction che racconta il marcio e la delinquenza quando anche noi li raccontavamo (per quanto poi accompagnati anche da messaggi positivi)? Non si poteva fare proteste e servizi al Tg1 anche per noi, così magari le cose sarebbero andate diversamente?

O, al contrario, non si poteva apprezzarci di più e rendersi conto che valevamo più del nulla in cui siamo stati sepolti?

Perché, quando siamo stati noi a dire che Scampia non è solo Gomorra, non siamo stati ascoltati?

Io quel quartiere lo conosco e ho anche imparato ad apprezzarlo, ad apprezzarne la gente. Posso anche comprendere che quella gente si sia stancata di essere dipinta come la feccia d’Italia e a fatica capisco, ma non condivido, il prendersela con chi ha steso i panni sporchi in pubblico e non in famiglia.

Ma tutto questo clamore da parte delle istituzioni mi sa solo di strumentale. L’interesse così vivace lo sento un po’ opportunistico.

E, indipendentemente da chi ha ragione e chi no, se la fiction non si girerà, si sarà solo tolto altro lavoro. E proprio alla stessa gente a cui è stato tolto tempo fa.

La qual cosa, scusatemi tanto, oggi mi fa parecchio incazzare.

Gli studi de “La Squadra” e “La nuova Squadra” a Piscinola – Scampia