Morte di un artista

Ogni volta che muore un personaggio famoso, il primo che mi chiama è mio padre. O, se lo batto sul tempo, chiamo io lui. Sarà perché ha la tv accesa tutto il giorno mentre io solo il pomeriggio, comunque siamo un team imbattibile per la diffusione di funeree notizie sullo star system.

Subito dopo aver posato il telefono, prima mi domando cosa starà accadendo nella redazione de “La vita in diretta” che deve cambiare in un attimo la scaletta già approvata e poi accendo Facebook, per capire se è vero o se mio padre ha capito male. E Facebook non sbaglia mai perché ogni volta che muore un personaggio famoso la mia Home page si riempie di aggiornamenti di stato o link a lui dedicati.

C’è chi ritiene qualunquista un atteggiamento del genere, perché magari le persone dedicano un messaggio ad un artista che hanno seguito molto poco quando era in vita.

Embé? Io lo trovo normale.

Forse perché sono una che se cammina per strada e incrocia un funerale fa il segno della croce per rispetto al defunto anche se non sa nemmeno chi fosse.

La morte crea partecipazione e, quando si tratta di una persona famosa, compartecipazione: la gente condivide il momento. Perché gli artisti non è che li conosco io, li conosci tu o li conosce l’altro. Li conosciamo tutti. Perché la loro arte appartiene a tutti noi.

Sia che l’abbiamo amata sia che no. E vi dirò di più.

Talvolta è nel momento della morte che si può scoprire un artista, quando per l’appunto tv e contatti Facebook ci inondano di sue opere che finiamo per ascoltare/guardare/leggere. (Non a caso i quadri dei pittori valgono di più dopo la loro dipartita).

Pensate che l’unico artista che io abbia mai amato con ogni millimetro del mio cuore e della mia testa, Massimo Troisi, io non sapevo neanche chi fosse quando era vivo. L’ho scoperto dopo e poi l’ho amato per sempre.

Quindi condividete, salutate, conoscete.

PS: Ciao, Lucio. Non condividerò su Facebook la tua canzone di Sanremo perché la voce di Carone mi appalla.

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